Archivi categoria: Ausili

Classificazioni delle minorazioni visive

di Vincenzo Sacchetti

Fonte: Notiziario dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS – settembre 2001
Il Parlamento ha approvato una legge che ci riguarda da vicino, e che le associazioni di handicappati visivi da lungo tempo attendevano.
Il 21.04.2001 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n.93, la Legge 3/4/’1 n. 138 recante: “Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici”.
Dalla lettura della legge n. 138, il legislatore ha inteso disciplinare e classificare le minorazioni visive, conformando la normativa italiana ai parametri assunti in materia dalla O.M.S..
I MINORATI DELLA VISTA SONO STATI COSÌ SUDDIVISI:

  1. CIECHI: TOTALI O PARZIALI;
  2. IPOVEDNETI: GRAVI / MEDIO-GRAVI / LIEVI.

I criteri cui fare riferimento per individuare i soggetti aventi titolo ad essere riconosciuti in queste due fattispecie sono:

  • il potere visivo;
  • l’ampiezza del campo visivo.

La valutazione della perdita di campo visivo è sicuramente un grande passo in avanti, in rapporto ad una congrua attribuzione del grado di invalidità da assegnare al portatore di handicap visivo. Questo provvedimento legislativo pur non apportando, al momento, nessuna modifica sulle prestazioni economiche sociali in campo assistenziale, sarà, nondimeno riferimento d’obbligo per i futuri interventi, sia a carattere nazionale che locale, che verranno adottati a beneficio dei minorati della vista. Nella Legge n. 138 non viene fatta, purtroppo, menzione alcuna della acromatopsia; né come fattore invalidante in sé, né come circostanza aggravante quando si accompagna ad una ridotta acuità visiva. Il riconoscimento giuridico-legale della acromatopsia è, a mio modo di vedere, uno degli scopi fra i più importanti per la Associazione Acromati Italiani.
Il cammino per raggiungere questo obiettivo è appena agli inizi, e non sarà di certo facile raggiungere la meta; occorrerà pressare da vicino, senza fretta ma senza tregua, il mondo della oftalmologia nelle sue varie articolazioni; il consenso ed il sostegno della comunità medico-oculistica sono presupposto indsispensabile per sensibilizzare l’opinione pubblica e la “Politica”, affinché venga riconosciuta dignità di “essere” alla Acromatopsia che, dallo Stato, viene del tutto trascurata, o tutt’al più considerata una curiosa anomalia retinica di scarso rilievo in relazione alle conseguenze sulla condizione e qualità della vita degli acromati.
Tocca a noi acromati l’onore e ce lo dobbiamo assumere in prima persona, di ribaltare questa situazione di svantaggio. Come? Dando fondo a tutto il nostro spirito di iniziativa per prommuovere ed intraprendere azioni capaci di dare visibilità ed attenzione ai nostri problemi, chiedendo ed ottenendo l’abbattimento delle “Brarriere cromatiche”, affinché possiamo competere e vivere con e insieme agli altri usufruendo di pari opportunità.

Prova dei programmi ingrandenti

Elisabetta Luchetta

Fonte: Notiziario dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS – Giugno 2001)
http://www.magnifiers.org è un sito dedicato interamente ai programmi ingrandenti per computer.
Particolarmente interessante è la sezione “test” in cui vengono descritte le caratteristiche dei vari prodotti e le news che raccontano cosa c’è di nuovo in questo settore.
Il sito è in inglese ma è collegato ad un traduttore automatico anche in italiano.

Tastiere per ipovedenti

Elisabetta Luchetta

Fonte: Notiziario dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS – Giugno 2001
Per quanto riguarda le tastiere per ipovedenti, vorrei segnalare l’esistenza di un kit di 91 etichette autoadesive per tastiere IBM o IBM compatibili, o per Mac, denominato “ZoomCaps”.
Lo si può trovare nelle due versioni “lettere nere su fondo avorio” o “lettere bianche su fondo nero”. Sono molto leggibili.
Esiste poi un altro kit, denominato “Combo Large Print Letters”, disponibile nelle versioni “Lettere bianche su fondo nero”, “Lettere nere su fondo avorio”, “Lettere nere su fondo giallo”.

La mia esperienza di monocoli ed altri ausili

UN’ESPERIENZA DI MONOCOLI ED ALTRI AUSILI

Quella che vi voglio raccontare è la mia esperienza in tema di monocoli.
Per chi non lo conoscesse, il monocolo è un valido strumento ottico che consente una messa a fuoco di oggetti sia vicini che lontani. In pratica è come fosse una metà di un cannocchiale. Ce ne sono di varie dimensioni, comunque tascabili, e quindi facilmente trasportabili.
Io, per esempio, lo porto sempre con me e ne faccio uso quando devo vedere un cartello stradale, un’insegna, un dettaglio di una vetrina di un negozio, il display degli orari presente nelle stazioni ferroviarie; altre volte mi è utile per osservare da lontano un paesaggio (o per lo meno avere un’idea del paesaggio che appare ai miei occhi!!!) ovvero per leggere una didascalia in un museo a commento di un’opera d’arte. Tra le altre cose mi è utile per riconoscere le persone da una certa distanza, etc.
Alcuni anni fa ho acquistato il mio primo monocolo senza saperne molto (non ero ancora a conoscenza della nostra Associazione): il desiderio era quello di poter disporre di un ausilio facile da usare che permettesse di aiutarmi in momenti di difficoltà nella visione da lontano. Desiderio, oggi, quanto mai appagato. Il mio monocolo (ormai da battaglia), di marca sconosciuta (forse giapponese o giù di lì), è di tipo economico (non mi è costato più di 100.000 lire), forse per questo non precisissimo, non mi dà preoccupazioni particolari, perché so che, se anche lo perdessi, non avrei sciupato un capitale.
Recentemente, all’incontro che l’Associazione ha organizzato a gennaio a Bologna, ho avuto modo di farlo vedere ad altri acromati lì convenuti. In quella sede c’è stato anche uno scambio di informazioni fra coloro che ne possedevano uno.
L’interesse che alcuni acromati hanno mostrato a quello da me posseduto mi ha fatto sorgere l’interesse per saperne di più e poter dare qualche informazione a chi ne fosse interessato.
Innanzitutto, sono tornato dal negoziante che me lo aveva venduto ma purtroppo di quel modello non ne disponeva più. Ho girato per tutta la città ma non ho trovato rivenditori particolarmente informati su tale ausilio.
Ho comunque scoperto che tecnicamente ce ne sono di due tipologie: monocolo prismatico e monocolo galileiano. Il primo, per la particolarità delle sue lenti, consente la messa a fuoco ruotando su se stesso i due cilindri di cui è composto; è molto preciso ma proporzionalmente molto costoso. Per una buona resa è necessario impiegare entrambe le mani. Tra quelli che ho potuto provare o consultare nei cataloghi i migliori hanno un prezzo che si aggira attorno ai 250/300 euro (500.000/600.000 lire). Anche per il secondo la messa a fuoco avviene mediante la rotazione di un cilindro sull’altro, ma risulta più facilitata in quanto, ruotando su se stesso, il monocolo si allunga come un telescopio. Io personalmente lo trovo di estrema praticità perché riesco a mettere a fuoco anche con una sola mano. Il costo è molto più contenuto: 50/60 euro (100.000/120.000 lire).
Per chi ne fosse interessato è bene ricordare che nella scelta contano molto due caratteristiche: il numero degli ingrandimenti e la distanza della messa a fuoco.
Il numero degli ingrandimenti misura la capacità di ingrandimento del monocolo. In commercio ho notato le seguenti misure: 4X, 6X e 8X, dove “X” sta per “per” o ingrandimenti.
La distanza della messa a fuoco, a sua volta, si distingue in distanza minima e distanza massima. La distanza minima è molto importante perché misura la capacità di ingrandimento, e quindi di utilizzo del monocolo, per oggetti ravvicinati. La distanza minima che ho riscontrato va da 20 a 40 o 60 centimetri. Tuttavia, tanto più è minima la distanza della messa a fuoco, tanto minori sono gli ingrandimenti: ad esempio un monocolo con distanza minima di 20 centimetri difficilmente può raggiungere gli 8 ingrandimenti. Sul mercato è anche possibile trovare un adattatore che, abbinato al monocolo, consente di trasformarlo in microscopio, così da poter leggere scritte molto piccole su distanze molto ravvicinate. La distanza massima di messa a fuoco è generalmente l’infinito. Questo consente, quindi, di osservare anche da lontano.
Motivato dalla mia curiosità e dall’interesse che altri acromati hanno manifestato per questo ausilio ho fatto un po’ di ricerche su Internet. Fra i vari siti ne ho trovato uno che con l’ottica e con gli ausili per ipovedenti in genere non ha molto in comune (figuriamoci con l’acromatopsia!!!), ma che a mio avviso può fare il caso nostro.
Lungi dal voler fare pubblicità, segnalo il sito cliped.it. Si tratta di un sito dove una ditta vende per corrispondenza prodotti di elettronica, modellismo, mineralogia numismatica e filatelia, apparentemente prodotti ben diversi dalle nostre esigenze. In realtà, navigando sul catalogo, o sfogliando quello cartaceo (che a richiesta arriva dopo pochi giorni), si possono trovare molte cose interessanti: lenti d’ingrandimento delle più svariate caratteristiche e dimensioni e, appunto, monocoli.
Incuriosito sia dalla scarsa attenzione prestatami dai rivenditori della città, sia dal modesto costo (51,65 euro più le spese postali) ho ordinato un monocolo 8X con distanza minima di messa a fuoco di 40 centimetri. Dopo pochi giorni ho ricevuto in contrassegno il pacchetto e con stupore ho capito di aver acquistato un monocolo (il mio secondo monocolo, quello di scorta) che soddisfa le mie esigenze.
In sostanza, a volte, si può spendere anche poco per avere ausili di decorosa qualità, ma ciò che più conta, si possono trovare strumenti efficaci a rispondere alle nostre insolite esigenze.
Francesco Bassani
(fonte: Notiziario dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS – Marzo 2002)

Ancora sul test genetico per l’Acromatopsia, di Don Antonio Nora

Ancora sul test genetico per l’Acromatopsia

Alcuni centri in Italia in grado di eseguirlo

Carissimi amici,

torno ancora sul tema del test genetico per l’Acromatopsia, perché finalmente abbiamo individuato alcuni centri in Italia in grado di eseguirlo. L’altra novità importante è che questi centri erogano prestazioni per conto del Sistema Sanitario Nazionale, il che significa coperte dall’esenzione di cui molti di noi usufruiscono. In quest’articolo vi parlo della SOD Diagnostica Genetica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze (AOUC), di cui sono venuto a conoscenza tramite il sito dell’A.P.R.I. onlus di Torino (che — ne siamo grati — dedica alla nostra malattia un suo spazio: http://www.ipovedenti.it/acromatopsia).

Il metodo che utilizzano al Careggi di Firenze è il next generation sequencing  (NGS). Com’è noto questo laboratorio ha acquisito una forte esperienza non solo nell’esecuzione dei test genetici di moltissime malattie genetiche comprese le retinopatie, ma anche nella loro interpretazione, che soprattutto con le nuove tecniche è la parte più rilevante del test! Tra gli esami eseguiti figurano quelli relativi alla Distrofia dei coni (gene ABCR) — che noi chiamiamo comunemente Acromatopsia — di cui si indica come referente la d.ssa Ilaria Passerini.

Prima di descrivere la procedura da seguire, vorrei richiamare alcune premesse, note alla maggior parte di voi, ma sempre doverose. Si tratta di un esame che, di per sé, non è indispensabile per diagnosticare l’Acromatopsia, ma che si può valutare di fare, specie in determinate circostanze. Secondo un dato confermato dalla d.ssa Luisa Pinello, le mutazioni note sono riscontrabili solo nel 75% dei casi: pertanto non in tutti i casi con diagnosi clinica di Acromatopsia la ricerca della mutazione risulta positiva. Personalmente mi sono deciso a farlo, perché in occasione di una chiamata a visita dall’INPS, il medico legale mi ha contestato che nella documentazione presentata mancava il test genetico. Roba da matti! Per fortuna la difficoltà si è superata con l’intervento dell’oculista che, evidentemente più competente (e peraltro a conoscenza della malattia per circostanze che non sto a spiegare), ha ritenuto sufficiente la certificazione di cui ero in possesso. Così pericolo scampato! Ma ho pensato che, per prevenire grane di questo tipo in futuro, poteva avere un senso tentare di procurarmi anche questo “pezzo di carta”. Tutto qui!

Ora vi dico come fare, senza la pretesa che questa procedura sia l’unica possibile e che possa andar bene per tutti:

1. Farsi prescrivere dal proprio medico di famiglia

– Una visita specialistica per consulenza genetica (perché il laboratorio accetta di fare il test solo se la relativa modulistica è controfirmata da un medico genetista);

– Un test genetico per Acromatopsia.

2. Fare la consulenza genetica o concordandola presso la SOD Diagnostica Genetica del Careggi, oppure rivolgendosi ad uno dei genetisti in Italia con cui questo laboratorio è in contatto. Al genetista si espone l’intenzione di volersi sottoporre al test. Lo specialista autorizza la procedura compilando le parti di sua pertinenza della modulistica fornita dal laboratorio e scaricabile in Internet all’indirizzo http://www.aou-careggi.toscana.it/internet/docs/file/Laboratorio/DiagnGenetica/12_Diagn_Gen_esami%281%29.pdf.

3. Prendere contatti con la SOD Diagnostica Genetica del Careggi per annunciare la spedizione di campione prelevato presso altra struttura in convenzione con AOUC, o non in convenzione. Il campione inviato deve essere etichettato con i dati anagrafici del paziente: nome, cognome e data di nascita.

4. Si può telefonare al numero 055.794.9363 dal lunedì al giovedì tra le 9,00 e le 11,00, o scrivere alla d.ssa Ilaria Passerini all’indirizzo e-mail: passerini@aou-careggi.toscana.it.

5. Il risultato viene inviato al genetista che ha apposto timbro e firma sulla modulistica. I tempi di attesa si stimano intorno ai sei mesi.

6. Il vero problema è, in realtà, come mandare il campione di sangue a Firenze (sempre che non si abbia tempo e voglia di fare una gita nel capoluogo toscano!). Se l’ospedale cui ci si rivolge per la consulenza genetica si rende disponibile anche per il prelievo e la spedizione (attraverso i propri canali interni), allora la cosa è estremamente semplice. Se invece, come può capitare per varie ragioni, l’ospedale non è in grado di offrire questo servizio, la questione si complica non poco, perché né le poste né i corrieri accettano di trasportare materiale biologico per conto di privati cittadini: occorre disporre di un codice cliente ed avere, con qualcuno di loro, un rapporto di lavoro continuativo. Per cui la soluzione che consiglio è di fare la spedizione tramite una qualsiasi azienda di fiducia che, per la sua attività, si serve stabilmente di un corriere. Si tenga presente che mettere le provette in un comune pacco postale (non dichiarandone il contenuto), è illegale e… rischioso!

7. Preciso che il sangue non necessita di condizioni particolari di trasporto o conservazione. Il campione va però confezionato nel rispetto delle norme per il trasporto di materiale biologico. Le provette sono quelle comunissime “da emocromo” contenenti un anticoagulante (vacutainer da 6 ml con EDTA).

8. Nella confezione contenente le provette va messa

– Tutta la modulistica fornita dal laboratorio (che deve essere firmata, come già detto, dal medico genetista e, ovviamente, dal diretto interessato),

– La fotocopia della tessera sanitaria,

– L’impegnativa del medico di famiglia con prescrizione di test genetico per Acromatopsia.

9. La spedizione va fatta preferibilmente indicando come mittente il genetista (e l’ospedale) che ha fatto da tramite. Meglio se all’inizio della settimana (il lunedì o martedì). L’indirizzo è:

SOD Diagnostica Genetica

AOU Careggi – piano inferiore del Padiglione 15 Piastra dei Servizi

Viale Gaetano Pieraccini, 17

50139 Firenze

Vorrei precisare che lo scopo di questo scritto è solo quello di riportare un’esperienza e indicare concretamente un canale che sta consentendo (a me) di raggiungere l’obiettivo. Non escludo, anzi ne sono quasi certo, che altri potrebbero aver individuato altre procedure ed altri centri (di cui sarebbe utile riuscire a fare una mappatura). Grazie e… un saluto affettuoso a tutti.

Don Antonio Nora – Torino

Acromatopsia: Prospettive per una Migliore Qualità della Vita.

di Francesco Bassani, Presidente dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS

Premessa

L’acromatopsia è un raro difetto di vista ereditario e congenito. Per il numero esiguo di persone che ne sono affette, tale patologia va certamente annoverata nell’ambito delle malattie rare. Con buona approssimazione si può dire che, chi è affetto da acromatopsia, vede il mondo come in un film “in bianco e nero”; un acromate vede esclusivamente le sfumature di “grigio” che ci sono tra il colore bianco e il colore nero.
L’incapacità di distinguere i colori rappresenta, tuttavia, solo uno dei seri problemi che caratterizza gli acromati, e non il più grave. Ben più invalidanti sono, infatti, l’estrema sensibilità alla luce, la bassissima acuità visiva, l’impossibilità di mettere a fuoco i dettagli, il nistagmo.
Purtroppo, con le attuali conoscenze mediche non vi sono terapie che possano guarire dall’acromatopsia. Chi nasce con questo difetto della vista deve affrontare innumerevoli difficoltà sia di ordine pratico che psicologico.
Ai genitori di bambini acromati si presenta da subito il serio problema di ottenere in tempi brevi una diagnosi certa. Considerata la rarità della patologia ed il suo scarso impatto scientifico e sociale, le famiglie coinvolte su questa problematica faticano non poco prima di ottenere risposte adeguate.
Sul piano pratico l’acromatopsia pone dei limiti che inevitabilmente influenzano le scelte e lo stile di vita di chi ne è affetto. Gli acromati non possono ad esempio guidare un’auto, riconoscere un amico per strada, partecipare alla maggior parte degli sport che si praticano all’aperto; altre attività, come studiare, lavorare, orientarsi in un ambiente interno ed esterno non conosciuto, viaggiare da soli, sono possibili ma richiedono una determinazione ed un impegno molto maggiori rispetto a chi non ha tale difetto di vista.
Nella vita quotidiana i colori sono usati spesso per esprimere concetti e comunicare informazioni, divenendo quindi una sorta di linguaggio di comunicazione. Ad esempio molte segnaletiche per fornire informazioni sfruttano i contrasti cromatici fra scritte e simboli. Gli acromati finiscono così per essere esclusi da questo sistema di relazione, fino ad indurli in una condizione di cecità, qualora gli stessi messaggi non vengano espressi anche in altri modi (ad esempio per mezzo di segnali acustici).
Non meno importanti sono, inoltre, le implicazioni di carattere psicologico: la rarità della patologia, i ritardi e le difficoltà nel pervenire ad una seria diagnosi creano un senso di isolamento, di insicurezza, di solitudine e di ansia negli acromati e nelle loro famiglie.
In Italia non vi sono dati precisi sul numero di persone affette da acromatopsia. L’unica statistica conosciuta si riferisce ad una ricerca effettuata negli Stati Uniti d’America ove è stato stimato che vi è un acromate ogni 33.000 abitanti!

L’Associazione Acromati Italiani ONLUS

Se vero che l’acromatopsia non si può curare, si può perlomeno prendersene cura, comprenderla e imparare a vivere con essa nel migliore dei modi. Per tale motivo in tempi recentissimi è nata in Italia l’Associazione Acromati Italiani ONLUS.
L’Associazione, che non ha scopo di lucro, si prefigge di far conoscere l’acromatopsia; di fornire un supporto psico-pedagogico, formativo e di collegamento per e fra gli acromati e le loro famiglie; di collaborare con le istituzioni scientifiche per la ricerca sull’acromatopsia; di sensibilizzare le istituzioni per il riconoscimento giuridico della condizione degli acromati e per la ricerca di soluzioni idonee al più adeguato inserimento nella vita civile degli acromati stessi.
Attualmente l’Associazione conta un buon numero di iscritti sparsi in tutta Italia. Alcuni di loro si sono già incontrati almeno una volta, altri si conoscono per telefono o via Internet. È già sorto un bellissimo scambio di esperienze fra grandi e piccini, fra genitori e genitori. Ci si sente bene insieme perché vengono meno quelle ansie e preoccupazioni che tutti gli acromati e familiari avvertono. Rimangono però i problemi di tutti i giorni, quelli che incontra un acromate a scuola, nel lavoro e nella vita di relazione.

Idee e proposte per migliorare la qualità della vita

Tanto premesso, nel prosieguo si intende, sia pure sommariamente, formulare alcune proposte al fine di sensibilizzare le istituzioni per la ricerca di soluzioni idonee per una migliore qualità della vita degli acromati e delle loro famiglie, nonché di descrivere i più frequenti ausili ottici utilizzabili da parte di un acromate.
Come si avrà modo di constatare, alcune delle soluzioni suggerite sottendono esigenze tipiche per gli acromati, ma delle quali possono tuttavia utilmente beneficiare molti altri soggetti portatori di grandi e piccole disabilità. Pertanto, la ricerca di tali soluzioni potrà dar vita ad un ampio ed interessante progetto volto a favorire un più generalizzato coinvolgimento a favore di chi conduce con più difficoltà la vita di tutti i giorni.
Peraltro, tali idee e proposte verranno sommariamente esposte, riservandosi, successivamente, ulteriori approfondimenti, anche supportati dalle ulteriori informazioni che potranno a tal fine pervenire dagli acromati e dalle loro famiglie.
Come premesso, le conseguenze più evidenti per chi è affetto da acromatopsia, a prescindere dalla sua età, sono:

  • l’incapacità di distinguere i colori;
  • la bassa acuità visiva;
  • l’estrema sensibilità alla luce sia solare che artificiale;
  • l’impossibilità di mettere a fuoco i dettagli;
  • il nistagmo.

Appaiono quanto mai evidenti, quindi, le molte situazioni di difficoltà che incontra un acromate nella vita di tutti i giorni.

INCAPACITÀ DI DISTINGUERE I COLORI – “BARRIERE CROMATICHE”: i semafori, i display luminosi, la segnaletica, la stampa, etc…
L’incapacità di distinguere i colori, oltre ad impedire la possibilità di guidare un’auto, limita fortemente la capacità di un acromate a muoversi (spesso il taxi resta l’unico e costoso mezzo di trasporto). L’uso dei colori, infatti, è un linguaggio diffusissimo nella vita moderna di comunicazione. Ne sono un esempio i semafori: è impossibile per un acromate sapere se un semaforo sta indicando “avanti” quando è verde o “stop” quando è rosso. Solo in presenza di particolari e del tutto episodiche situazioni di riflessi, ovvero quando è notte fonda, il semaforo fornisce informazioni ad un acromate. La possibilità di rendere attivo un appropriato segnale acustico, ad esempio, consentirebbe ad un acromate di ricevere quelle informazioni al pari di chi distingue i colori.
Medesima situazione si verifica, ad esempio, per quanto attiene ai display che comunicano informazioni, specie quelli delle file d’attesa o degli orari dei mezzi pubblici. Spesso tali display sono caratterizzati da un fondo nero e da indicatori alfanumerici di colore rosso. Per un acromate è impossibile, se non in condizioni eccezionali, notare la diversità cromatica del nero e del rosso.
Più in generale, tutte quelle segnalazioni e caratteri di stampa che non sono caratterizzate da un “sufficiente contrasto” non vengono percepite da un acromate. E per “sufficiente contrasto” non si deve aver cura di intendere ciò che chi ha una vista normale intende. In generale, il contrasto è avvertito da un acromate quando c’è una scritta bianca su sfondo nero o viceversa, a volte se vi è una scritta bianca su sfondo rosso o blu o viceversa o ancora scritta gialla o verde (retroilluminata) su sfondo nero o blu.
Molto, tuttavia, dipende anche dalla tipologia del display, dalla sua dimensione e dalla sua collocazione.

BASSA ACUITÀ VISIVA: cartelli, insegne, autobus e ancora display luminosi
Come detto, un acromate dispone di una bassa acuità visiva. Per poter leggere, un acromate deve avvicinarsi molto alle scritte: il suo campo visivo viene perciò di fatto molto limitato.
Conseguentemente, oltre al contrasto fra sfondo e scritte, un acromate per leggere ha bisogno di caratteri molto grandi. Cartelli, insegne, numeri degli autobus e display luminosi possono essere letti da un acromate solo a certe condizioni. In tali casi possono aiutare anche delle comunicazioni acustiche oltre che visive.

ESTREMA SENSIBILITÀ ALLA LUCE
La luce, solare e artificiale, abbaglia l’acromate tanto da renderlo paragonabile, allorché si trovi in piena esposizione luminosa, ad un cieco.
Può sembrare paradossale, ma l’attenzione di uno scolaro o la produttività di un impiegato acromate cambia sensibilmente in funzione della dislocazione, rispettivamente, del proprio banco nell’aula o della propria scrivania nel posto di lavoro.
In tal senso moltissimi sono gli accorgimenti possibili per poter filtrare la luce. Spesso, tuttavia, sia nelle scuole che nel mondo del lavoro manca quell’informazione necessaria a comprendere il problema e, soprattutto, a saperlo affrontare senza creare situazioni di “diversità”. Appare, pertanto, quanto mai significativo suggerire una maggiore sensibilizzazione sull’argomento.

Ausili ottici

Esistono in commercio strumenti ottici che sono di grande utilità per gli acromati nel far fronte a molte situazioni della vita di tutti i giorni.

Lenti ad alto ingrandimento
Un acromate, spesso ha bisogno di una lente di ingrandimento che gli permetta di vedere i dettagli. Quelle tradizionali sono difficili da usare in quanto, oltre ad essere grandi e pesanti e quindi poco maneggevoli e trasportabili, non ingrandiscono molto ed in più si appannano continuamente.
Le lenti ad alto ingrandimento sono, invece, molto più pratiche: ad esempio possono servire per la consultazione di un dizionario o dell’elenco telefonico. Si tratta di una lente molto piccola, del diametro di circa 3 cm, che, proprio per questo motivo, riesce a fornire un ingrandimento elevato pari a 6x (ci sono anche modelli che arrivano a 10x e 12x). E’ indubbiamente molto maneggevole, non si appanna (dal momento che è piccola e quindi non costringe a respirarci sopra).
Questo tipo di lente rappresenta uno strumento molto utile per un acromate da portare sempre con sé per leggere qualcosa “al volo”, cercare un numero di telefono o un vocabolo sul dizionario, etc…

Monocoli
Anche i monocoli rappresentano per un acromate uno strumento molto utile. Un monocolo è uno strumento piccolo che si usa con un solo occhio e che può ingrandire sia oggetti vicini che lontani: questo ne fa uno strumento assai versatile e soprattutto estremamente utile in quanto un acromate lo può utilizzare per guardare con più facilità le vetrine dei negozi, gli orari dei mezzi pubblici sui tabelloni, un cartello o un’insegna. Per quanto riguarda il suo funzionamento, il monocolo va utilizzato pressappoco come un normale binocolo, vale a dire bisogna tener conto del rapporto fra ingrandimento e campo inquadrato e dell’estrazione pupillare.
Il monocolo fornisce, a seconda dei modelli, un ingrandimento da 3 a 8 volte, ma quel che più conta è che si può sfruttare questo ingrandimento anche stando relativamente vicini all’oggetto che si sta guardando (si può arrivare anche a 30 cm di distanza minima di messa a fuoco). Ad esempio si possono leggere i lucidi che vengono proiettati durante una conferenza o ciò che viene scritto a scuola sulla lavagna.

Videoingranditore
Si tratta di uno schermo televisivo a circuito chiuso in grado di ingrandire anche di molto tutto ciò che si vuole guardare e che viene posto in uno speciale ripiano sottostante: ad esempio i francobolli, l’elenco telefonico, il dizionario, una fotografia “di gruppo” in cui i volti delle persone sono assai piccoli, etc…

Classificazioni delle minorazioni visive

CLASSIFICAZIONI DELLE MINORAZIONI VISIVE

l Parlamento ha approvato una legge che ci riguarda da vicino, e che le associazioni di handicappati visivi da lungo tempo attendevano.
Il 21.04.2001 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n.93, la Legge 3/4/’1 n. 138 recante: “Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici”.
Dalla lettura della legge n. 138, il legislatore ha inteso disciplinare e classificare le minorazioni visive, conformando la normativa italiana ai parametri assunti in materia dalla O.M.S..
I MINORATI DELLA VISTA SONO STATI COSÌ SUDDIVISI:

1. CIECHI: TOTALI O PARZIALI;

2. IPOVEDNETI: GRAVI / MEDIO-GRAVI / LIEVI.

I criteri cui fare riferimento per individuare i soggetti aventi titolo ad essere riconosciuti in queste due fattispecie sono:

  • il potere visivo;
  • l’ampiezza del campo visivo.

La valutazione della perdita di campo visivo è sicuramente un grande passo in avanti, in rapporto ad una congrua attribuzione del grado di invalidità da assegnare al portatore di handicap visivo. Questo provvedimento legislativo pur non apportando, al momento, nessuna modifica sulle prestazioni economiche sociali in campo assistenziale, sarà, nondimeno riferimento d’obbligo per i futuri interventi, sia a carattere nazionale che locale, che verranno adottati a beneficio dei minorati della vista. Nella Legge n. 138 non viene fatta, purtroppo, menzione alcuna della acromatopsia; né come fattore invalidante in sé, né come circostanza aggravante quando si accompagna ad una ridotta acuità visiva. Il riconoscimento giuridico-legale della acromatopsia è, a mio modo di vedere, uno degli scopi fra i più importanti per la Associazione Acromati Italiani.
Il cammino per raggiungere questo obiettivo è appena agli inizi, e non sarà di certo facile raggiungere la meta; occorrerà pressare da vicino, senza fretta ma senza tregua, il mondo della oftalmologia nelle sue varie articolazioni; il consenso ed il sostegno della comunità medico-oculistica sono presupposto indsispensabile per sensibilizzare l’opinione pubblica e la “Politica”, affinché venga riconosciuta dignità di “essere” alla Acromatopsia che, dallo Stato, viene del tutto trascurata, o tutt’al più considerata una curiosa anomalia retinica di scarso rilievo in relazione alle conseguenze sulla condizione e qualità della vita degli acromati.
Tocca a noi acromati l’onore e ce lo dobbiamo assumere in prima persona, di ribaltare questa situazione di svantaggio. Come? Dando fondo a tutto il nostro spirito di iniziativa per prommuovere ed intraprendere azioni capaci di dare visibilità ed attenzione ai nostri problemi, chiedendo ed ottenendo l’abbattimento delle “Brarriere cromatiche”, affinché possiamo competere e vivere con e insieme agli altri usufruendo di pari opportunità.
Vincenzo Sacchetti
(fonte: Notiziario dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS – settembre 2001)

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COME AVERE L’AUSILIO INFORMATICO SE NON È INSERITO NEL NOMENCLATORE TARIFFARIO?

I diritti del disabile che comunica col pc.

Basta dimostrarne l’utilità funzionale. In applicazione all’art. 34 della Legge 104/92 che garantisce alle persone in situazione di handicap certificato il diritto a ottenere dal Servizio Sanitario Nazionale protesi ed ausilii tecnici, il Ministero della Sanità emana il cosiddetto nomenclatore tariffario. Sino ad oggi però, il nomenclatore tariffario non prevede la concessione a costo agevolato o gratuito dei computer.
Per questo tipo di ausilio, tuttavia, si può proporre istanza all’Assessorato Regionale per la Sanità che può, discrezionalmente, autorizzare la concessione “extra nomenclatore” dell’ausilio richiesto, purché ne sia documentata l’esigenza attraverso una certificazione sanitaria.
Un’agevolazione sicura, che tuttavia comporta l’anticipazione della spesa di acquisto, è costituita altresì dalla legge n. 30/97 che all’art. 1, comma 1 lettera a), che introduce nel Testo Unico delle imposte dirette approvato con DPR 917/86 una ulteriore agevolazione. Il costo dell’acquisto di ausilii tecnici e informatici per l’autonomia è detraibile in misura pari al 19% dall’ammontare dell’Irpef da pagare nell’anno in cui si sia effettuato l’acquisto. Inoltre la legge 449/97 all’art. 8 per l’acquisto di questi ausilii riduce l’IVA al 4%.
(fonte: Notiziario dell’Associazione Acromati Italiani ONLUS – settembre 2001)

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Comportamenti da tenersi da parte del medico di fronte ad un caso di Acromatopsia.

prof. Luciano Bonomi
Già primario della Clinica oculistica dell’Università di Verona

L’acromatopsia congenita è una affezione molto rara cosicché accade che la maggior parte dei medici, anche se oculisti esperti, non ne abbia mai avuto alcuna esperienza. Da ciò possono nascere inconvenienti e comportamenti inadeguati.
Assai spesso il paziente affetto da acromatopsia non riceve o tarda a ricevere tutta l’assistenza di cui ha bisogno. Egli rischia inoltre di essere costretto ad inutili e scomode peregrinazioni da un centro all’altro con negative conseguenze psicologiche e talvolta con aggravio economico non giustificato. Si tenga conto del fatto che incertezze nella diagnosi e nella prognosi ed eventualmente consigli errati possono rendere più difficile l’affrontare questa già di per sé pesante condizione.
L’acromatopsia non può essere curata ma è dovere del medico fare tutto ciò che è possibile per aiutare i pazienti e le loro famiglie.
Per queste ragioni è altamente desiderabile che ogni oculista abbia conoscenze chiare, anche se esse saranno forzatamente limitate, su questa condizione patologica e sui comportamenti che essa richiede.



Sospetto diagnostico. È per prima cosa essenziale che al medico si affacci tem-pestivamente il sospetto diagnostico di essere di fronte a questa rara e grave condizione in modo da poter predisporre gli approfondimenti del caso.
Ciò dovrebbe essere abbastanza facile nel caso di un bambino già collaborante o di un giovane adulto; diviene assai più difficile nel caso di un bambino molto piccolo che non sia in grado di collaborare. D’altro canto una diagnosi precoce è auspicabile per molte ragioni. In tal caso un corretto orientamento nascerà, più che dall’esame del piccolo paziente, dall’attenta e sagace valutazione dei dati comportamentali che i genitori non mancheranno di riferire. In questo caso sono soltanto coloro che vivono col bambino ad essere in grado di osservare i comportamenti tipici della condizione e le loro variazioni in rapporto alle situazioni ambientali e di illuminazione.
Diagnosi. L’orientamento diagnostico si basa su più elementi di cui alcuni molto tipici.

Acuità visiva molto ridotta
Di solito è compresa tra 1/50 ed 1/10 per la visione a distanza. Tipicamente la funzione visiva peggiora grandemente con l’aumentare della illuminazione e diviene migliore e di gran lunga più confortevole ai livelli di illuminazione più bassi.
Fotofobia
È il sintomo più caratteristico. I pazienti sono molto infastiditi ed invalidati dai livelli di illuminazione elevati. Per difendersi assumono comportamenti ed atteggiamenti particolari: strizzano le palpebre, sfuggono alle sorgenti luminose, prediligono gli ambienti poco illuminati e si trovano meglio nelle condizioni di luminanza crepuscolari e notturne. Adottano, anche spontaneamente, berretti muniti di visiera e portano occhiali scuri con montatura avvolgente.
Obbiettività
Sin dalla più tenera età i soggetti affetti da acromatopsia presentano nistagmo che si accentua in condizioni di luminanza alta, nei tentativi di fissazione specie per lontano. Per minimizzare il nistagmo il soggetto adotta posizioni viziate del capo che gli permettono una migliore funzione visiva. Per il resto l’obbiettività è negativa.
Mancanza della percezione dei colori
Essa è completa o quasi completa a seconda delle diverse varietà cliniche. Nei soggetti di età adatta sarà facilmente rivelata dai comuni test per la visione dei colori.
Dati elettrofisiologici
Gli esami elettrofisiologici daranno la conferma di certezza della diagnosi. Tipicamente il tracciato ERG fotopico sarà assente o quasi, mentre quello scotopico apparirà normale.

Diagnosi differenziale. Va posta fra alcune entità cliniche diverse fra loro, di differente prognosi, e che richiedono consigli e provvedimenti diversi:

  • acromatopsia congenita completa o monocromatismo dei bastoncelli;
  • acromatopsia congenita incompleta;
  • monocromatismo dei coni per il blu;
  • acromatopsia cerebrale.

Distrofia dei coni e distrofia dei coni e bastoncelli. Queste diagnosi differenziali sono tutt’altro che facili ma un adeguato approfondimento diagnostico è indispensabile. Esso si raggiungerà avviando il paziente ad un centro dotato di un buon laboratorio di elettrofisiologia, scelto possibilmente fra quelli che hanno avuto occasione di studiare altri soggetti acromati. Attualmente può essere molto utile il ricorso ad un laboratorio di genetica molecolare con specifica esperienza. Informazioni preziose circa i centri più adatti potranno essere ottenute dalla Associazione Acromati Italiani ONLUS. Il paziente dovrà essere accompagnato da una dettagliata descrizione della situazione clinica ed in particolare dei dati comportamentali.
Cosa può fare il medico. Non esistono terapie per l’acromatopsia congenita. Tuttavia il ruolo del medico è essenziale: egli può validamente contribuire a rendere meno pesante l’affezione e ad aiutare validamente il paziente ed i suoi familiari.

  • Il raggiungimento di una diagnosi certa ed accurata riduce l’angoscia della famiglia e rende più sostenibile la situazione. Per questo il medico non deve esitare a rivolgersi ai centri competenti. Chiarimenti dettagliati circa la natura e la prognosi della malattia sono di grande aiuto.
  • La prognosi deve essere presentata con chiarezza. L’acromatopsia congenita è fortemente invalidante ma deve essere chiarita la sua natura non progressiva. Il comprensibile timore di una futura cecità deve essere fugato. Anche per questo l’esattezza diagnostica è essenziale. La possibile confusione con malattie evolutive, come la distrofia dei coni, deve essere evitata. Deve essere chiarito che, seppure non esista una terapia, esistono provvedimenti che possono significativamente aiutare il paziente e rendere possibili molte attività. La sicurezza con cui il medico presenta questi argomenti è essenziale anche per evitare gli inutili, costosi e frustranti “viaggi della speranza” cui talvolta i pazienti si sottopongono.
  • Spesso gli acromati hanno anche altre alterazioni oculari come vizi di rifrazione, anche elevati, che vanno accuratamente corretti. Ciò può essere reso difficile dalla bassa acuità visiva e dalla modestia dei miglioramenti che la correzione ottica può ottenere. Ciò nonostante deve essere fatto ogni sforzo per ottenere quei miglioramenti che, anche se modesti, possono risultare preziosi per il paziente.
  • L’acromatopsia congenita è malattia molto rara e per gli interessati può risultare molto difficile reperire persone e centri dotati della reale competenza necessaria per fornire tutto l’aiuto possibile. Il modo migliore per ottenere le informazioni necessarie è ancora il rivolgersi all’Associazione Acromati Italiani.


Consiglio genetico
. Come avviene per altre condizioni geneticamente determinate, gli interessati temono di trasmettere la malattia alla eventuale prole e chiedono consigli su questo punto. Coloro che non hanno competenza specifica devono astenersi dal dare consigli genetici che potrebbero risultare errati ed aggravare inutilmente il peso della malattia. L’acromatopsia congenita tipica si trasmette come tratto recessivo dovuto ad un gene molto raro nella popolazione: la prole ha quindi bassissime probabilità di risultare affetta. Vanno evitati soltanto i matrimoni fra consanguinei.
Tuttavia, altre forme apparentabili a quella principale si trasmettono con modalità diverse.
Il consiglio genetico va lasciato ad un genetista esperto e deve essere basato anche su studi di genetica molecolare.
Provvedimenti riabilitativi. Non rientrano propriamente fra i compiti del medico che difficilmente dispone delle competenze necessarie. Il paziente non va però lasciato senza supporto, bensì avviato a centri competenti che potranno anch’essi essere indicati dall’Associazione Acromati Italiani. In tali centri l’interessato riceverà i consigli e le informazioni che gli saranno utili.
Ciò riguarda la identificazione delle attività possibili, delle migliori condizioni ambientali da ricercare, dei filtri più adatti da scegliere e della loro forma più adeguata (tipo di occhiale e/o lente a contatto), degli eventuali ausilii ingrandenti più adatti per le singole attività.
Si tenga conto del fatto che queste scelte devono rispondere a criteri precisi: per esempio, il tipo di filtro più conveniente può essere diverso a seconda delle varianti della malattia; gli ausilii ingrandenti vanno scelti con molto raziocinio a seconda delle attività e delle necessità reali del paziente e della sua volontà e capacità di utilizzarli. Oggi esistono molti mezzi che possono sensibilmente aiutare l’acromate e permettergli un accettabile inserimento sociale ma egli non deve essere abbandonato a se stesso.
Particolarmente critica l’educazione dei bambini acromati che richiede accorgimenti particolari ed una stretta collaborazione fra medici, riabilitatori ed operatori scolastici. Data la delicatezza della situazione è necessario anche un coinvolgimento di psicologi bene informati della problematica, delle possibilità riabilitative e delle prospettive future. L’azione dello psicologo può fortemente condizionare l’accettazione delle condizioni di vita dell’acromate e quella degli eventuali ausilii.

Acromatopsia: dall’essere un problema all’avere un problema.

dott.ssa Anna Piccioni

Oculista Genetista Consulente di Ipovisione

L’acromatopsia completa è descritta in letteratura come una “distrofia congenita ereditaria della retina trasmessa come tratto autosomico recessivo”. Interessa in media una persona su 30.000-33.000 abitanti dei Paesi occidentali. I segni clinici caratteristici della patologia sono: la riduzione dell’acuità visiva intorno ad 1/10 e che peraltro rimane stabile nel tempo, la presenza di nistagmo fin dai primi mesi di vita, la fotofobia con intensità diversa secondo i casi, l’assenza di visione dei colori e la compresenza di difetti refrattivi.
Per parlare di Acromatopsia il famoso neurologo e regista americano Oliver Sacks sceglie per un suo libro il titolo intrigante “L’isola dei senza colore”, che sottolinea come, nella accezione più comune, l’acromate sia colui o colei che non vede il mondo a colori, quasi fosse rimasto negli anni del cinema e della televisione in bianco e nero.
Abbiamo spesso bisogno di semplificare termini scientifici complicati, che ci lasciano in disparte rispetto agli addetti ai lavori. C’è per tutti bisogno di comprendere, di essere consapevoli del significato dello scorrere del tempo e delle potenzialità ancora in nostro possesso soprattutto dopo una diagnosi, momento di riflessione, semaforo rosso nella vita.


A chi il compito di tradurre una diagnosi, come e perché?

Vorrei iniziare dall’ultima di queste domande: perché?
Perché è necessario e indispensabile che esista una comunicazione tra medico e paziente nella quale la conoscenza, l’esperienza e la perizia del medico vengano offerte al paziente attraverso un linguaggio che possa renderlo cosciente di quanto gli sta accadendo, con la comprensione ed il supporto necessari a non lasciarlo solo con i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.
Citando Paolo Cattorini, Professore di Bioetica: “Il clinico non è solo un tecnico, ma un uomo impegnato a promuovere il bene di un altro uomo, portando a frutto le competenze tecniche e le conoscenze scientifiche acquisite”.
La passione e l’abnegazione del medico non possono ravvisare nella diagnosi il loro unico fine; il grande compenso professionale si riceve quando, seppure in condizioni terapeutiche svantaggiate, il paziente mantiene o recupera un adeguato equilibrio personale.
Quanto sia delicato il momento della comunicazione di una diagnosi credo sia esperienza comune. Tuttavia non è mai abbastanza sottolineato per creare l’atmosfera più idonea al caso, soprattutto quando si hanno di fronte genitori addolorati, sconvolti e frustrati nella loro umana aspettativa di benessere per il proprio figlio/a.
Come comunicare è quasi sempre affidato al buon senso ed alla esperienza dei singoli e non è ancora divenuto tema generale di studio e riflessione durante gli anni universitari per conseguire la laurea in Medicina.
Comunicare la diagnosi può avere un effetto devastante se, nello stesso tempo, non si offrono consigli ed indicazioni sui servizi e sulle metodiche di approccio riabilitativo, considerando le esperienze psicosociali e le capacità di affrontare la presenza di un deficit visivo da parte della famiglia e/o dell’individuo.

Costruire una relazione efficace medico – paziente – famiglia.

Nel caso di una patologia congenita quale l’Acromatopsia è frequente che siano i genitori i primi osservatori di un comportamento anomalo nella visione dei loro figlioli già durante i primi mesi di vita. Possono essere chiamate in causa professionalità diverse dal Pediatra, al Neurologo, all’Oculista. Sicuramente a quest’ultimo è quasi sempre passato il testimone perché giunga al traguardo capace di definire un quadro a volte sottostimato e passibile di una interpretazione che porta fuori strada.
L’Oculista deve sentirsi investito di una responsabilità che supera quella clinica, in quanto egli è utile ed indispensabile per promuovere collegamenti tra le varie figure professionali che possono offrire sostegno scientifico, tecnico ed educativo. All’Oculista spetta il compito di spiegare perché l’assenza della percezione di variazioni di colore nel mondo intorno a noi possa generare una serie di comportamenti che, all’apparenza, richiamano difficoltà aggiuntive mal comprensibili.
Nel caso dell’Acromatopsia l’approccio oculistico può presentare difficoltà legate alla rarità del disordine, alla presenza di segni obiettivi che sono in comune con altre patologie retiniche ed alla necessità di intervenire nei primi anni di vita, quando è difficoltoso somministrare tutti i test validati per una quantificazione della vista e della capacità nel riconoscimento delle sfumature di colore.
Soprattutto nel primo anno di vita non possiamo chiedere ad un bambino di leggere un tabella o di verbalizzare una percezione di colore, ma sono a disposizione test validati dai quali è possibile ricavare osservazioni preziose e ripetibili.
Nel caso di bambini e adolescenti si rende necessaria una buona familiarità con le metodiche che consentono di capire come viene usata la vista e quale sia la funzione alterata. Si parla in termini di valutazione funzionale, tipica della riabilitazione visiva.
Il bambino acromate è facilmente abbagliato in condizioni luminose sfavorevoli, mentre è disinvolto in media luminosità sicché la sua osservazione e la proposta dei test deve necessariamente tenere conto delle condizioni ambientali nelle quali si svolge.
Da parte dell’Oculista è ugualmente utile acquisire conoscenza ed esperienza nella genetica oculare perché da questa importante branca della scienza ci vengono chiarimenti non solo sull’origine della malattia, ma anche sulla diversità del modo di presentazione in ciascun individuo.
Si parla di acromatopsia completa per distinguerla da altre forme di alterata visione dei colori.
La cosiddetta Cecità Parziale (indicata nel linguaggio corrente come daltonismo dal nome del ricercatore che la descrisse) segue una via di trasmissione X linked, ovvero l’alterazione dei geni che codificano per i pigmenti dei coni è trasmessa da femmine portatrici sane e si manifesta nel 7,4% della popolazione maschile (dati europei). La popolazione femminile è raramente affetta e le statistiche in Europa indicano che i casi con forma clinica sono pari allo 0,5%. Nella cecità parziale la visione dei colori risulta essere di-cromatica per alterato funzionamento di una delle tre popolazioni dei coni. Si distinguono tre forme: protanopia, deuteranopia e tritanopia in relazione alla carenza del pigmento rosso, verde o blu. Ad esse non si associa mai decremento del visus.
Nella diagnosi differenziale con le forme associate a riduzione visiva si debbono prendere in considerazione altre patologie retiniche. Prima fra queste è la famiglia delle Distrofie dei Coni a trasmissione ereditaria autosomica recessiva e talvolta autosomica dominante. L’inizio delle manifestazioni cliniche è per tutte tardiva rispetto all’acromatopsia con comparsa dei primi segni e sintomi tra i 10 e i 20 anni. La caratteristica fondamentale è la progressiva riduzione del visus. La fotofobia rappresenta un carattere comune, mentre all’esame del fondo oculare l’area maculare può presentare alterazione tipo “bull’s eye” oppure “salt-pepper”, assenti nell’acromatopsia. La seconda patologia da differenziare è il Monocromatismo dei Coni Blu, trasmesso con modalità X linked, si presenta con nistagmo e fotofobia di grado ridotto, il decremento visivo è modicamente progressivo ed il picco di sensibilità alla luce si presenta a 440 nanometri.
L’Acromatopsia si manifesta perché è presente un mutazione dei geni preposti al controllo della funzione di fototrasduzione a livello dei coni ovvero il controllo della trasformazione, a livello dei coni, dei segnali luminosi in segnali elettrici.
A tutt’oggi i geni mappati sono tre: CNGA3 (cromosoma 2), CNGB3 (cromosoma 8) e GNAT2 (cromosoma 1). I progressi della biologia molecolare aprono scenari interessanti e sembra che complichino un poco la vita, ma le conoscenze attuali possono offrire diagnosi più circostanziate.
Particolare cura deve essere dedicata al colloquio con i genitori.
L’atteggiamento di ascolto della storia clinica può fornire tutte le indicazioni non raccolte attraverso altri esami. Esiste un elemento che fa la differenza, troppo spesso sottovalutato: la brutale variazione di risposta nel comportamento del bambino al variare delle condizioni di luminosità degli ambienti, un passaggio dalla cecità alla visione che si propone con reazioni a volte drammatiche.
L’ambiente di visita può divenire il luogo di definizione della diagnosi solo se le luci adottate sono coerenti con tali presupposti.
L’Oculista inoltre deve poter contare sulla collaborazione di Colleghi specializzati negli esami di elettrofisiologia oculare, il più importante dei quali per l’Acromatopsia è l’ERG o elettroretinogramma. L’ERG rappresenta l’esame attraverso il quale si analizza e si misura il trasporto dell’informazione visiva all’interno della retina. Questa è la struttura più interna della parete del bulbo oculare, costituita da tessuto nervoso a più strati ciascuno dei quali svolge un compito specifico compiendo una iniziale fase di elaborazione nella percezione delle forme, del colore, del movimento e della profondità.
L’identificazione delle varie componenti dell’ERG è possibile inducendo differenti condizioni di adattamento della retina alla luce, variando lo stimolo ed il metodo di raccolta dati. Sui particolari di questo utile esame tornerò fra poco.
Semir Zeki, neurofisiologo, scrive in un suo articolo di qualche anno fa: “Lo studio del sistema visivo è una impresa di carattere profondamente filosofico: si tratta infatti di stabilire in che modo il cervello acquisisca conoscenza del mondo esterno”.
Il mistero ed il fascino del meccanismo della visione sono proprio in questo indissolubile rapporto tra percezione e conoscenza.
Nel 1871 James Clerk Maxwell, fisico e matematico, uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, tiene una lezione sulla “Visione dei colori” alla Royal Institution e all’inizio del suo discorso sostiene: “Vedere è vedere a colori, perché è soltanto mediante l’osservazione delle differenze di colore che distinguiamo le forme degli oggetti. E quando parlo di differenze di colore intendo includere anche le differenze di lucentezza e ombra”.
Si era solo all’inizio di una ricerca che nei secoli ci ha portato alle raffinate conoscenze odierne, ma l’ultima frase svela già quanto sia da considerare oltre il colore. Si sottolinea l’importanza del contrasto, aspetto fondamentale nella visione.
All’interno dell’occhio la retina svolge il compito di intercettare la luce e identificarne le caratteristiche spaziali, temporali, di composizione e di intensità luminosa. Due sono le popolazioni cellulari protagoniste di questo complesso fenomeno: i coni e i bastoncelli, nomi che derivano dalla loro forma osservata al microscopio elettronico.
La specializzazione dei coni è quella di rispondere, di captare le fonti luminose ad alta intensità, quale la luce solare, diurna. La percezione del colore si accompagna alla elevata intensità luminosa.
[I bastoncelli invece sono sensibili ai bassi livelli di illuminazione, quelli del crepuscolo – N.d.R.]. La loro incapacità di reazione alle luci potenti, più di tutte la luce del giorno, lascia l’occhio senza difesa, senza la struttura che seleziona e modula l’impatto dei segnali sulla retina. Il risultato è l’abbagliamento, come uscendo alla luce dopo un tunnel oscuro o come un flash scattato all’improvviso. Ognuno di noi si definirebbe “accecato”, ferito da troppa luce. A causa del fenomeno dell’abbagliamento si assiste a due diversi comportamenti: il primo e più plausibile è lo strizzare le palpebre di fronte a luci intense, la cosiddetta fotofobia. Il secondo, che non ha ricevuto ancora una totale spiegazione dalle neuroscienze, è rappresentato dall’attrazione eccessiva verso le fonti di illuminazione. Si pensa che in questo caso si produca una stimolazione paradossa, una sorta di autoipnosi piacevole e senza gravi rischi perché i coni sono già lesi. Un ulteriore fenomeno che genera curiosità è la costrizione paradossa della pupilla, dal diametro ridotto al buio ed invece ampia in condizioni di luce intensa. Tale fenomeno è indicativo di affezioni della retina e fornisce un utile indizio diagnostico. La sua origine non è chiara, ma richiama alla necessità di eseguire un ERG.
L’elettroretinogramma rappresenta una tecnica non cruenta, non invasiva, indolore.
Nell’Acromatopsia siamo in grado di poter esaminare la diversa risposta allo stimolo prodotta dai coni e dai bastoncelli. Per questi ultimi si usa la metodica dell’ERG scotopico ottenuto stimolando la retina con luce a bassa intensità dopo aver fatto soggiornare il paziente al buio per 30 minuti. La stimolazione dei coni ci fornisce un tracciato detto ERG fotopico per l’uso di luce ad alta intensità. Nell’Acromatopsia completa l’ERG fotopico è estinto, L’ERG scotopico è normale.
Certamente l’ERG è un esame che richiede grande esperienza e soprattutto necessita di pazienza e di abilità da parte dell’esaminatore per mettere il paziente nelle migliori condizioni di risposta.
Se tale presupposto è valido per gli adulti, è irrinunciabile per i bambini. A volte un approccio inadeguato da parte dell’operatore mette a repentaglio la possibilità di ottenere dati preziosi in assenza di altri test. Oltre a questo vale ricordare come la visione ad alto contrasto sia l’unica utile al riconoscimento dei dettagli. Il concetto di contrasto ritorna importante come nelle parole di Maxwell.
Quante volte, senza neppure riflettere, aumentiamo l’illuminazione per poter leggere meglio, infilare l’ago, notare una sfumatura o evidenziare la forma di un oggetto o di un disegno. Aumentiamo la luce perché abbiamo bisogno di stimolare l’area della retina che è preposta alla visione nitida, dettagliata, ad alto contrasto. Questa regione è la macula, al centro della retina, nel fondo del bulbo oculare ed è abitata dai soli coni. Nel resto della retina troviamo praticamente solo bastoncelli il cui compito principale è quello di rispondere alle basse intensità di luce, senza fornirci la nitidezza del particolare e senza sensibilità ai colori.
Per capire meglio vi suggerisco un piccolo esperimento: fissate la punta del dito indice posto davanti a voi. Il vostro dito risulta chiarissimo in ogni dettaglio, tutte le immagini che sono dietro sono visibili, ma sfuocate. Avete usato la macula, cioè i coni, per fissare l’indice, il resto della retina con i suoi bastoncelli è servito per avere una visione d’insieme senza cogliere i dettagli. La stessa cosa accade davanti alla tabella di lettura, per lontano o per vicino, con la quale si effettua la misurazione della vista. La misurazione, espressa in decimi, è la quantificazione del buon funzionamento della macula.
In questo modo si spiega come, per l’assenza di funzione dei coni, venga a diminuire anche l’acuità visiva, sia per lontano che per vicino. Nel caso dell’Acromatopsia la riduzione è stabile nel tempo, senza modifiche perché i coni sono assenti o comunque incapaci di reagire fin dalla nascita. La massima risposta visiva è tra 1/20 e 1/10 nella forma completa, di poco superiore nella forma incompleta e nel monocromatismo dei coni blu, terza variante dell’Acromatopsia trasmessa attraverso l’alterazione di un gene presente sul cromosoma X della mamma.
La ricerca della massima risposta visiva richiede la ricerca e la correzione di un difetto di refrazione. La refrazione è la capacità da parte delle varie componenti dell’occhio a convogliare gli stimoli luminosi sulla macula per metterli a fuoco. Molti bambini acromati sono ipermetropi e necessitano della correzione con lenti per ridurre al massimo la sfuocatura dell’immagine. La prescrizione degli occhiali rappresenta a volte una difficoltà psicologica per le famiglie che hanno richiesto l’inclusione del proprio figlio nelle liste dei disabili della vista. Gli occhiali rappresentano una contraddizione alla dichiarazione del deficit o comunque un timore di essere sconfessati. Anche in questo caso è importante la conoscenza dei meccanismi fisiologici della visione e la filosofia dell’approccio riabilitativo.
L’esaltazione del contrasto va perseguita con ogni mezzo: l’uso delle lenti filtranti, la schermatura laterale della montatura e/o l’uso di una visiera all’esterno, la correzione del difetto di refrazione, l’uso di una illuminazione mirata all’interno degli ambienti di vita, l’assecondare posizioni di sguardo con ausili che migliorino la postura
L’introduzione di lenti telescopiche per lontano è auspicabile non appena è richiesta una maggiore autonomia di spostamento. Questi ausili incontrano di frequente un’avversione psicologica da parte degli adolescenti. Essi provano disagio a mostrare il proprio limite ai coetanei in una fase di crescita oltremodo delicata. La dimostrazione del beneficio che ne deriva può produrre interesse per superare il rifiuto.
A questo punto diventa più agevole spiegare perché in quasi tutti gli acromati, di solito fino all’adolescenza, gli occhi appaiano scossi da movimenti ripetitivi, fini, orizzontali, con una tendenza a strizzare le palpebre quanto più si esce all’esterno. I movimenti ripetitivi rappresentano il nistagmo e compaiono intorno al 4° – 5° mese di vita.
Anche il nistagmo è legato alla funzione della macula, che raggiunge la sua piena maturità proprio nel 4° mese dopo la nascita. Maturità della macula vuol dire massima risposta dei coni. Senza la loro funzione la retina è sprovvista di un centro di fissazione ed è per questo che il nistagmo sembra spiegarsi come un ripetitivo movimento di ricerca del punto di massima messa a fuoco. La ripetitività del movimento, spontanea e difficilmente controllabile, peggiora la qualità della visione. Spesso osserviamo come le persone con nistagmo assumano delle posizioni anomale del capo per osservare meglio i dettagli e a distanza molto ravvicinata. In tali posizioni si ottiene una notevole riduzione delle scosse e non si consiglia di correggere la postura anomala. Priveremmo i nostri ragazzi di una strategia utile all’acquisizione di importanti informazioni. Non trascurando l’attenzione per la posizione del collo e della colonna vertebrale è necessario adattare la scrivania e il banco affinché siano ridotti la tensione e lo sforzo che sono causa di dolori e di atteggiamenti cronici di compenso.
Tavoli con piani inclinabili, leggii, sedie ergonomiche, studio delle fonti di luce a casa e a scuola sono sussidi indispensabili prima ancora degli ausili ottici di ingrandimento per tutte le attivita’ che richiedono l’uso della vista per vicino. La lettura e la scrittura richiedono tempi più lunghi della norma, serenità, distensione e comodità per un buon apprendimento.
La riduzione della acuità visiva per lontano, unitamente al fenomeno dell’abbagliamento presentano delle ricadute funzionali importanti nello sviluppo della comunicazione, dell’orientamento e della mobilità, nell’apprendimento incidentale e nelle attività della vita quotidiana. Nel caso dell’acromatopsia va sottolineato come in modo peculiare ciascuna di queste aree risenta fortemente delle condizioni di luce ambientale.
La comunicazione si avvale molto di messaggi non verbali particolarmente importanti all’interno del gruppo dei coetanei. L’orientamento e la mobilità, insieme all’esercizio delle abilità della vita quotidiana, sono i presupposti dell’autonomia. L’apprendimento incidentale passa attraverso il “colpo d’occhio”, il cogliere fugacemente le immagini di una situazione.
La vita di ognuno è molto più ricca di comunicazione non verbale e di apprendimento incidentale di quanto si possa immaginare. Nella limitazione visiva le esperienze debbono essere indotte e concesse. Ogni tipo di informazione deve essere trasmessa e mediata da parole ed azioni concrete da parte degli educatori e dei riabilitatori, per facilitarne la costruzione di una memoria mentale.
Di conseguenza l’acquisizione di strategie alternative deve essere sostenuta dalla consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti in ogni circostanza.
La costruzione della stima di sé diventa una operazione delicata nella ricerca e nella affermazione di una identità che spesso è difficile confermare agli occhi degli altri. L’acromate può essere considerato allo stesso tempo un cieco ed un vedente se non si conoscono l’origine del suo disagio e la necessità di usufruire di metodiche ed ausili che si modellino ad esigenze molto contrastanti.
A questo non giova ancora molto la rigida classificazione delle disabilità visive alla quale dobbiamo fare riferimento per ottenere ausili e riconoscimento dei diritti. In attesa di una burocrazia più sensibile e rispettosa dobbiamo incessantemente ricercare un approccio riabilitativo altamente professionale che segua i ragazzi nella loro evoluzione.

Di Notte Tutti I Gatti Sono Grigi

“At Night All Cats Are Grey”

Introduzione

L’occhio umano ha quattro tipi di cellule sensibili alla luce o fotorecettori, ognuno contenente un pigmento fotosensitivo differente. Un primo tipo è costituito dai bastoncelli che funzionano in condizioni di oscurità e ci forniscono il mondo buio della notte senza colori, come dice il vecchio proverbio inglese e olandese “di notte i gatti sono tutti grigi”.
Gli altri tre tipi, i coni rossi (sensibili a onde lunghe), i coni verdi (sensibili a onde medie) e i coni blu (sensibili a onde corte), funzionano con livelli di luce più intensi. Le loro differenti risposte, secondo la lunghezza delle onde, ci rendono possibile la vista dei colori durante il giorno, quando i gatti non sono più grigi. Al contrario diventano rossi, color tartaruga, lilla, marrone e persino blu.
Per qualcuno di noi, però, non esiste questo tipo di transizione: i gatti rimangono grigi sia di giorno sia di notte. Questi sono i completamente ciechi ai colori.
A differenza di chi è parzialmente cieco ai colori o di chi invece ne confonde alcuni, questo tipo di persone non ha per niente esperienza del colore.


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Cecità parziale ai colori

I tipi più comuni di cecità parziale sono ereditari e colpiscono il 7,4% degli uomini e lo 0,5% delle donne in Europa e solo una piccola percentuale degli asiatici, africani, afro-americani, aborigeni, indiani d’America, popolazioni del Sud Pacifico.
Il difetto deriva da alterazioni dei geni che decodificano i pigmenti dei coni, due dei quali, i pigmenti dei coni rossi e verdi, sono legati al sesso; da qui la maggior incidenza negli uomini piuttosto che nelle donne.
La perdita di funzione di uno dei pigmenti dei coni, e quindi del corrispondente tipo di coni, riduce la visione dei colori, che in genere è tridimensionale o tricromatica – con una dimensione corrispondente a ciascuna delle sensibilità spettrali dei coni, da tridimensionale a bidimensionale o bicromatica.
Protanopia indica la mancanza del pigmento dei coni rossi; deuteranopia, la mancanza dei coni verdi e tritanopia la mancanza dei coni blu.
I primi due difetti (protanopia e deuteranopia) sono associati alla cecità per il rosso e per il verde, o per la confusione del verde e giallo e del giallo e rosso l’uno con l’altro. Differiscono principalmente nel fatto che i rossi appaiono relativamente più scuri ai pronatopi piuttosto che ai deuteranopi, perché il pigmento dei coni verdi dei deuteranopi assorbe la luce rossa con meno efficacia del pigmento dei coni rossi.
La tritanopia è, invece, associata con la cecità per il giallo e il blu o la confusione del viola, del blu e del blu-verde l’uno con l’altro. (Il termine cecità per il giallo-blu è un termine ingannevole, in quanto, se i dicromatici rossi-verdi confondono il rosso con il verde, le persone affette da tritanopia non confondono mai il giallo con il blu).
Più frequenti, ma meno gravi, forme di cecità parziale per i colori, note come tricromatismo anomalo, sono causate dalla sostituzione dei pigmenti dei coni rossi o verdi con un pigmento anomalo codificato da un gene ibrido rosso-verde o verde-rosso. Protanomalia è la funzione deviante dei pigmenti dei coni rossi e deuteranomalia è la funzione deviante dei pigmenti dei coni verdi.

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Cecità totale per i colori

La cecità totale per i colori non è associata a disturbi nei geni dei pigmenti ed è molto più rara del dicromatismo o del tricromatismo anomalo.
In casi molto rari, noti come acromatopsia cerebrale, deriva da delle lesioni nella corteccia celebrale nelle regioni di funzionamento del colore. Un caso di questo genere è stato descritto di recente dal neurologo Oliver Sack, “The case of the colorblind painter” nel suo famoso libro “An anthropologist on Mars”.
Molto più frequentemente (1 su 50.000) deriva dalla perdita delle funzioni dei tre tipi di coni nella retina. Questa patologia ereditata è clinicamente conosciuta come acromatopsia completa o monocromatismo dei bastoncelli, termini che enfatizzano il fatto che la vista dei colori è unidimensionale, acromatica e monocromatica e si fonda sui bastoncelli rimanenti.
Sebbene questi termini siano tecnicamente corretti, trascurano gli altri handicap che derivano direttamente dalla perdita della funzione dei coni e che gettano un’ombra sulla perdita totale della vista dei colori.
Prima di tutto i monocromatici sono severamente indeboliti nella loro acutezza visiva. La nostra più acuta discriminazione spaziale, come la più acuta visione dei colori, è mediata dalla zona foveale ad alta densità di coni (o retina centrale) con le adatte connessioni postrecettorali neurali. Sebbene i bastoncelli siano prevalenti nella retina rispetto ai coni (costituiscono più del 95% di tutte le cellule fotorecettori), sono esclusi da questa regione retinale. Inoltre, le loro connessioni postrecettorali neurali nel resto della retina sono ottimizzate per acquisire un’alta sensibilità assoluta a spese della risoluzione spaziale finale. Questo è completato dalla somma dei segnali dei bastoncelli su ampie aree della retina. Così l’acutezza visiva nell’ambito della cecità totale per i colori dipende dalla risoluzione spaziale del sistema visivo dei bastoncelli, che non supera mai il 10% di quella del sistema visivo normale dei coni.
Inoltre, i monocromatici dei bastoncelli sono fotofobici o ipersensibili alla luce chiara. I bastoncelli, a differenza dei coni, sono saturati da un eccessivo assorbimento di fotoni, che portano la risposta al di là del loro campo di funzionamento limitato. Di conseguenza, le persone affette da cecità totale per i colori sono facilmente abbagliate ed effettivamente accecate se esposte alla luce chiara del giorno. Per questa ragione questa condizione è spesso chiamata “cecità di giorno” nel Regno Unito. Se essi aprissero gli occhi in tali condizioni, la loro vista presto svanirebbe e tutte le strutture spaziali sarebbero perse.
Per prevenire questa situazione, socchiudono spesso gli occhi, sbattono le palpebre e preferiscono indossare occhiali da sole o lenti polarizzate quando si trovano all’esterno; tali strategie diminuiscono l’intensità della luce consentendo ai bastoncelli di lavorare nel loro campo di funzionamento.
Infine i monocromatici dei bastoncelli mostrano frequentemente un nistagmo orizzontale pendolare o tremolio dell’occhio. Questo è in relazione all’instabilità e lo spostamento della loro fissazione e presumibilmente deriva dalla perdita della visione foveale centrale dei coni. È come se il loro occhio, cui manca un punto fisso di ancoraggio, ne cercasse uno.

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Base genetica molecolare

Sebbene sia stato da tempo stabilito che la monocromaticità dei bastoncellii sia associata alla perdita della funzione dei coni, la natura esatta del difetto dei coni è tuttora sconosciuta. In effetti solo due anni dopo che la distinzione funzionale tra coni e bastoncelli fu per la prima volta spiegata dall’anatomista tedesco Max Schultze nel 1866, Galezowski ipotizzò che i sintomi di coloro che oggi definiamo i monocromatici dei bastoncelli avrebbero potuto essere spiegati se i coni fossero devianti, sviluppati in modo incompleto o totalmente assenti e se le funzioni visive risiedessero solo nei bastoncelli. La sua interpretazione è stata a partire da quel momento confermata da analisi delle reazioni funzionali ed elettriche dell’occhio alla luce così come dalle misurazioni della riflessione ottica dello sbiancamento e della rigenerazione del fotopigmento disponibile. Queste ricerche hanno fornito ulteriori informazioni sul funzionamento dei bastoncelli nell’ambito del loro intero raggio d’azione dalla soglia alla saturazione, non oscurato dall’intrusione dei coni a livelli di luce più alti. In ogni caso, non sono stati in grado di spiegare perché i coni sono deteriorati.
Le ricerche istologiche sulla cecità totale per i colori sono state molto rare (solo quattro casi sono stati esaminati) e i risultati contrastanti. Nel primo caso analizzato, una donna di 29 anni, sono stati riscontrati coni scarsi e malformati nella fovea, ma distribuiti normalmente e modellati nella periferia dell’occhio; mentre, nel caso meglio documentato e più recente, quello di un uomo di 85 anni, i coni erano totalmente assenti nella fovea, distribuiti in modo anormalo vicino alla fovea e sensibilmente ridotti di numero (5-10% dei valori normali) nel resto della retina. E’ da rilevare che queste ricerche furono condotte in occhi di pazienti adulti, quindi non è molto chiaro se i coni fossero stati sempre devianti o assenti o se si fossero sviluppati in modo incompleto e successivamente fossero degenerati.
Di recente, comunque, Ted Sharpe e Herbert Jagle, lavorando con dei colleghi all’Università di Medicina di Tübingen, hanno fornito un importante indizio di cosa non funzioni nei fotorecettori dei coni. Essi hanno scoperto, infatti, un gene che è alla base della monocromaticità dei bastoncelli. Le loro ricerche furono stimolate da un evento geografico. Fu la notizia ottenuta da Thorpe, che Oliver Sacks stava progettando nel 1994 una spedizione a Pingelap, un atollo remoto nella catena Carolina della Micronesia. Aveva chiesto a Thorpe e ad una squadra di operatori della BBC di accompagnarlo per avere del materiale per un programma televisivo e per un libro da pubblicare eventualmente con il titolo di “The Island of the Colorblind”.
Pingelap aveva catturato l’attenzione del Dr. Sacks per l’incidenza della cecità totale per i colori che è straordinariamente alta, circa il 10%, 5.000 volte più frequente rispetto al resto del mondo. Quest’anomalia regionale è attribuita a un fondatore. Tutti gli abitanti affetti hanno la loro origine nel capo ereditario o nahnmwarki, un presunto portatore del gene dell’acromatopsia. La frequenza dell’allele mutante aumentò drammaticamente dopo un tifone, che attorno al 1775 inondò completamente l’isola. Solo circa il 20% degli abitanti sopravvisse alla devastazione, compreso il nahnmwarki. Probabilmente i suoi diritti, derivanti dal fatto di essere il capo, gli fornirono l’accesso privilegiato alle poche donne in età fertile e i suoi discendenti ebbero la possibilità di accedere meglio alla riserva di cibo drasticamente ridotta. Il primo bambino acromatico apparve attorno al 1820, nella quarta generazione dopo il tifone; e da allora l’incidenza rimase molto alta. La storia dell’isola è un classico esempio di percorso o movimento genetico, in cui fu ripopolata o fondata da un piccolo campione non rappresentativo della popolazione originaria più ampia. L’idea romantica del Dr. Sacks era di strappare un uomo affetto da cecità totale dal fiordo subartico della Norvegia e di farlo incontrare con gli abitanti dell’isola equatoriale baciata dal sole. Una sensazione di identificazione e di vincolo istantanei stavano per investire Pingelap, mentre altrove, la consapevolezza scientifica e pubblica del disordine stava nascendo. Era giunta l’ora di trovare un’origine molecolare del disordine.
Il primo passo essenziale verso l’identificazione di un gene causa della patologia trova la localizzazione cromosomica in un’analisi connessa, in gran parte un noioso lavoro di indagine. Abbiamo bisogno di campioni di DNA da molte famiglie indipendenti, preferibilmente appartenenti a diverse etnie e razze, con alcuni membri affetti dal disordine e altri no. Poiché il disordine è ereditato in modo recessivo autosomico, i campioni sono divisi in gruppi a seconda del fenotipo: i genitori non affetti, ognuno dei quali porta un gene difettato in uno dei cromosomi (eterozigoti non affetti), bambini affetti, ognuno dei quali ha ereditato un gene difettato da entrambi i genitori (omozigoti affetti), e i bambini non affetti, ognuno dei quali ha ereditato un singolo gene o dal padre o dalla madre (eterozigoti non affetti) o un gene normale da entrambi i genitori (omozigoti non affetti).
Reclutare questo tipo di famiglie comporta l’invio di parecchie lettere per trovare medici che abbiano accesso a questo tipo di pazienti, la spiegazione dell’importanza della ricerca, il convincimento delle famiglie a collaborare e la coordinazione, il prelevamento e la spedizione dei campioni di sangue per le analisi del DNA. Attraverso le facilitazioni di un data base a livello nazionale sulle patologie e sui disordini della retina, organizzato all’Eye Hospital di Tübingen, un gruppo di famiglie era già disponibile e pienamente fenotipo.
Altre famiglie furono reclutate dagli Stati Uniti d’America e dalla Norvegia, compresa quella di Thorpe, i cui fratello e sorella presentavano il disordine – un evento statisticamente raro, in quanto l’eredità recettiva autosomica prevederebbe che solo il 25% dei bambini di genitori portatori dovrebbe essere affetto.
Dopo che le famiglie sono state reclutate, deve essere presa una decisione strategica a proposito di dove cercare il gene affetto. Il genoma umano è vasto: da 50.000 a 100.000 geni si suppone siano localizzati in 23 coppie di cromosomi. Fin qui i disturbi in circa 40 di loro – compresi quelli che decodificano pigmenti visivi dei coni – sono stati identificati nei disordini della retina. La maggior parte dei genomi è ancora territorio inesplorato. La loro mappa e il loro ordine di sequenza dovrebbero essere completati nel 2003.

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